martedì 18 febbraio 2014

Musica # 4 - Song to the siren




Long afloat on shipless oceans 
I did all my best to smile 
'Til your singing eyes and fingers 
Drew me loving to your isle 
And you sang 
Sail to me 
Sail to me 
Let me enfold you 
Here I am 
Here I am 
Waiting to hold you

Song to the siren - Tim Buckley




Per chi è cresciuto con i video musicali negli anni '80, ascoltare una canzone senza accostarci delle immagini è difficile, o almeno lo è per me.
Associare un brano ad un'immagine o ad un posto è un gioco che faccio spesso: il giorno che andrò a New York, mi voglio sedere in una panchina nel Central Park per ascoltare "Perfect day" di Lou Reed, oppure quando visiterò Berlino voglio piazzarmi davanti agli ultimi pezzi del Muro ancora in piedi per spararmi nelle cuffie "Heroes" di David Bowie. Mentre in Piazza Duomo a Milano, circondato da piccioni, voglio ascoltare "Voglio avere il becco" di Povia (oppure no).





Quando la scorsa estate stavo organizzando il viaggio in Irlanda con mia figlia dodicenne, decisi di  includere una visita alle scogliere di Moher, e contemporaneamente pensai alla canzone ideale per quel panorama, la scelta fu facile: "Song to the siren" di Tim Buckley.
Anche se di origini irlandesi (per metà) non credo che Buckley Senior le scogliere le abbia mai visitate, ma quel testo monumentale (scritto non da lui, ma da Larry Beckett), visionario e criptico, si sposava perfettamente alle immagini che avevo visto in giro, la musica poi, quella si di Buckley, così potente e straziante, creava un matrimonio perfetto.

Prima di partire mi assicurai che nell'iPod ci fosse la mia versione preferita, quella cantata da Robert Plant, nessuna lesa maestà, sapevo che comunque il buon Tim Buckley avrebbe capito.

Arriviamo a Galway in un tipico giorno settembrino d'Irlanda, con pioggia microscopica e cielo grigio, il giorno dopo fortunatamente, il cielo è azzurro, le nuvole spazzate via dal vento.
Partiamo per le scogliere, durante il viaggio racconto a mia figlia le meraviglie di questo posto, quando arriviamo il nostro è l'ottavo autobus nel parcheggio, ma ci sarebbe spazio sufficiente per almeno un'altra cinquantina.
Scendiamo e imbocchiamo la strada principale che ci porta davanti al museo delle Moher Cliffs, che per non rovinare lo skyline, è stato costruito scavando dentro una collina, bravi questi Irlandesi. Ma le belle notizie finiscono qui. 
Il museo è un bluff, fai un giro dentro (letteralmente un giro, perchè è rotondo), dei pannelli ti  spiegano la natura sottostante (!?) e la storia delle scogliere (!!??) , e ti ritrovi davanti alla caffeteria a comprare dei panini preconfezionati.
Usciti dal museo la strada continua verso una specie di piazzola dove sorge La Torre, sulla guida dicono che è di metà '800, capirai che impressione.
Mentre ci passiamo vicino noto un coglione vestito da Gandalf che suona un'arpa celtica, l'istinto è quello di puntare verso lo strapiombo, ogni 50 metri ci sono dei cartelli con il numero del "telefono amico" irlandese e delle frasi che dovrebbero darti conforto, messi li con l'intenzione di far desistere aspiranti suicidi. In effetti, se allunghi il collo oltre il muretto che argina la piazzola il pensiero ti sfiora la mente, soprattutto se con le note dell'arpa in sottofondo.
Per adesso, escluso il coglione simil Gandalf, le scogliere sono una mezza delusione.
Dalla piazzola il sentiero punta a Nord (destra) o a Sud (sinistra), nel dubbio scelgo, come al solito, di andare a sinistra.
Camminiamo per un quarto d'ora e poi mi giro verso il punto dal quale siamo venuti, e abbasso la guardia quel tanto per farmi fregare. La vista è spettacolare, le scogliere cadono dritte sul mare per quasi 200 metri, l'oceano che ne lambisce la base  è così lontano che sembra un paesaggio in miniatura.
La giornata è splendida, il vento soffia leggero ma costante, a sgombrare il cielo dalle nuvole, l'orizzonte è lontanissimo, inarrivabile.
Scorgo mia figlia che fissa un punto indefinito oltre l'oceano, la immagino fra 30 anni, quando non ci sarò più, che persona sarà diventata, se avrà realizzato i suoi sogni, come sarà la sua vita.
Magari avrà dei figli, e  forse racconterà loro di quel giorno in Irlanda quando, con suo padre, riuscì a vedere l'infinito.
Si gira, e mi fa il sorriso più dolce che abbia mai visto, mi chiede se va tutto bene, e io gli rispondo di si, perchè non saprei come dirle che in quel preciso istante sono l'uomo più felice dell'universo.
Indosso le cuffie, schiaccio play e lascio che Robert Plant faccia il suo lavoro, che mi racconti di oceani senza barche, di voci misteriose e ingannatrici.






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